Scopriamo dove nasce il Diritto dell'Ambiente

 foto ambiente amazzonia 
(Amazzonia)

Al giorno d'oggi la tematica ambientale sta diventando sempre più centrale all'interno della vita di ognuno di noi, soprattutto in seguito alla diffusione del movimento denominato "Fridays For Future" e creato dalla giovanissima Greta Thunberg.

La domanda principale delle tante rivendicazioni in tema ambientale è proprio il riconoscimento della crisi climatica e l'emanazione di provvedimenti ad hoc per far fronte alle numerose problematiche che stanno affliggendo le società del XXI secolo. 

Ma la domanda interessante è: esiste un diritto dell'ambiente? se si, quando è nato e come si è affermato? 

Il processo storico-politico di emersione dell'interesse ambientale è alquanto lungo, ma tenteremo comunque di affrontarne e scandirne i punti essenziali che hanno portato alla qualificazione dell'ambiente come interesse primario e bene da tutelare.

Il diritto dell'ambiente nasce e si sviluppa principalmente in sede sovranazionale

Agli albori riguardava vicende che non si esaurivano all'interno di un solo Stato, ma che ne interessavano più di uno, e quindi potevano trovare una regolamentazione giuridica solo attraverso un vero e proprio trattato fra stati (gli oggetti principali erano fiumi, mari, laghi ecc).

Dalla metà del 900 si sono avuti una miriade di accordi specifici a carattere bilaterale o plurilaterale, a seconda del numero degli stati coinvolti, che poi hanno lasciato gradualmente spazio a una configurazione unitaria della materia. 

A partire dagli anni 70 iniziano a svolgersi conferenze internazionali sul tema, prima fra tutte quella di Stoccolma nel 1972, all'interno delle quali inizia ad emergere sempre più intenso l'interesse ambientale. 

Proprio a Stoccolma, nel 1972, viene adottata la "Dichiarazione sull'Ambiente Umano" che per la prima volta arriva a porre dei principi generali della materia: nello specifico viene affermato il diritto fondamentale dell'uomo a un'ambiente che gli garantisca dignità e benessere, e di conseguenza il dovere di salvaguardarlo anche per le generazioni future". 

Successivamente di fondamentale importanza è stato il "Rapporto Brundtland" del 1987, elaborato dalla Commissione Mondiale Ambiente e Sviluppo, alla quale si deve la prima, e forse più importante, formulazione di quello che noi oggi conosciamo come principio dello sviluppo sostenibile. Il rapporto recita:" sostenibile è lo sviluppo capace di soddisfare i bisogni delle generazioni presenti, senza però compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri".

Nel 1992, a Rio, andrà in scena un'altra conferenza delle Nazioni Unite, all'interno della quale vengono recepiti gli orientamenti del Rapporto Brundtland e forse si va addirittura oltre, arrivando ad enucleare un ulteriore serie di principi: 

a) "il criterio della responsabilità differenziata", che impone ai paesi più sviluppati di compiere sforzi maggiori per il perseguimento dello sviluppo sostenibile. 

b) "il principio di precauzione", che permette l'intervento della Pubblica Amministrazione, in situazioni di rischio di danno ambientale, a prescindere dall'esistenza di una certezza scientifica del verificarsi dell'evento dannoso (è sufficiente la sola possibilità che lo stesso si verifichi per agire).

c) il principio che "chi inquina paga", che da un lato sanziona l'eccessivo inquinamento e dall'altro lato però finisce con il dare un prezzo allo stesso, permettendo, a chi può permetterselo (principalmente grandi aziende), di internalizzare il costo dell'inquinamento.

d) il principio che richiede una "corretta ed equa distribuzione delle risorse fra Stati", in modo di garantire un riequilibrio economico che vada di pari passo con l'idea di uno sviluppo sostenibile. 

Fino ad ora tante belle parole, bellissime parole, che però come soventemente accade rimangono inattuate, sepolte al di sotto di uno spesso strato fatto di interessi e di politica che non ne permette la proliferazione. 

Si arriva cosi al Protocollo di Kyoto, nel 1997, dove per la prima volta si accompagna l'affermazione di principi di carattere generale, alla assunzione di obblighi a data fissa, vincolanti per gli stati contraenti. 

Si fissa un obiettivo complessivo di riduzione delle emissioni di gas inquinanti pari al 5,2% rispetto al livello delle stesse registrato nel 1990, obiettivo da raggiungere entro il 2020. 

Inutile dire che il Protocollo di Kyoto abbia avuto grandissimi problemi di attuazione, primo fra tutti il rifiuto di adesione da parte degli Stati Uniti in quanto, secondo loro, gli obblighi erano sproporzionati fra i vari stati (la Cina era ancora considerata paese in via di sviluppo e quindi era soggetta a una disciplina diversa).

  (fonte foto: scuola.net)

Il nostro percorso all'interno del diritto internazionale si conclude con la famosa Conferenza di Parigi del 2015, meglio conosciuta come COP21.

Viene raggiunto un accordo inerente alla riduzione delle emissioni inquinanti denominato Accordo di Parigi, il quale entrerà poi in vigore il 4 novembre del 2016. L'accordo in questione è stato sottoscritto da 195 stati (158 dei quali lo hanno anche ratificato) e la novità più importante è che lo hanno sottoscritto anche paesi in via di sviluppo.

All'interno dell'accordo si da per scontato che il surriscaldamento del pianeta sia ormai irreversibile, ma si pone l'obiettivo di contenere l'incremento della temperatura media globale "molto al di sotto" dei 2 gradi rispetto all'era preindustriale (proposito minimo); mentre il proposito ottimale sarebbe quello di contenerla al di sotto del grado e mezzo.

Per aiutare i paese in via di sviluppo ad adottare misure volte all'utilizzo di tecnologie verdi è stata prevista l'istituzione di un fondo, finanziato dai paesi più sviluppati, che sarebbe dovuto partire nel 2020.

Con questo accordo viene abbandonata la strategia utilizzata all'interno del Protocollo di Kyoto, basata su regole calata dall'alto (obblighi), e si passa invece a un sistema di tipo volontaristico attraverso l'adozione di veri e propri piani, sui quali vigilano obblighi di trasparenza e pubblicità in capo agli stati.

L'Accordo di Parigi segna la fine del lungo percorso di affermazione dell'interesse ambientale a livello internazionale, fatto di importanti conquiste e principi, pochi dei quali purtroppo concretamente applicati dai governi dell'ultimi trentennio.

A livello europeo l'ambiente si afferma attraverso la giurisprudenza, con una serie di sentenze della Corte di Giustizia che arrivano ad affermare, o meglio a qualificare, l'ambiente come fine della Comunità Europea. 

A livello nazionale affronteremo in altri articoli come si atteggia oggi la tutela ambientale, analizzando principalmente il Codice dell'Ambiente del 2006, ma va detto che purtroppo a livello giuridico non mancano le normative, manca l'azione, di formalità ce né tanta; lo stesso fatto che l'Italia si sia rifiutata di dichiarare emergenza climatica la dice davvero lunga.

 

16/07/2019

Ferri Bontempi Gianni

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